50 minuti
Sdraiata sul futon beige, occhi chiusi e corpo completamente abbandonato rivolgo l’attenzione al mio udito e riesco ad osservare la mia capacità di captare il suono delle gocce di pioggia che cadono sul marciapiede di fuori. Ho i piedi e le mani fredde, come al solito. Una presenza al mio fianco mi conforta. Mi sento scomoda nonostante il sostegno avvolgente e morbido del futon.
Contatto.
La mano sulla mia pancia.
Mi sento compresa. Compresa nei miei problemi, nella mia capacità di sentire in quanto essere vivente, compresa tra Cielo e Terra. Si appoggia a me in una danza lenta e piena di significato che però non voglio seguire con la mente. Sento le mie tensioni che si sciolgono da sole sotto questi passi di danza. Divento più lunga. Sono sottile. Sono malleabile e solida allo stesso tempo. Mi torna alla mente un’emozione fortissima e una lacrima mi riga la tempia. Non mi preoccupo che venga notata, fa parte di questo movimento che si è innescato in me e di cui sono in balìa. La mia testa è tra la Terra e le mani di qualcuno. Si appoggiano a me e il Cielo fa sentire il suo peso.
Infanzia e rassicurazione materna.
Le spalle si ammorbidiscono, ora non c’è più bisogno di difendersi. Ogni flusso in cui sono trasportata è il più adatto in quel momento. Quel mulinello mi identifica e poi quell’onda mi identifica e anche il flettersi del legno. Odore di bruciato; è dentro di me. Sento di poter tornare a fidarmi, sono più forte ora. Schiacciamento liberatorio. Questi sono imiei confini…non li ricordavo così. Il mio petto diventa pesante, è più difficile respirare, anzi no.
Ora è più facile.
Sospiro.
Lascio andare un fardello inutile senza farmi domande. Due donne passano sul marciapiede chiacchierando. Non piove più. La danza scema lentamente. Non ricordavo che la stanza avesse quest’odore di mobili vecchi. Il calore è più uniforme dentro di me. Mi arrivano così tanti stimoli. Li accolgo. Ho più spazio per sostenere quello che ricevo. Finalmente in me.
“Grazie”
“Grazie a te”